Enrica Salvatori, Sarzana, La Spezia e il il significato di “città”

L’autrice Enrica Salvatori, in occasione dei 609 anni degli statuti della Communitas Spediae, chiarisce il ruolo delle città di Sarzana e La Spezia nella Lunigiana storica. Inoltre, analizza il processo che ha portato le stesse all’effettivo titolo di “città”, di cui inizialmente non disponevano in quanto sprovviste di una sede vescovile.

 

A Tale of Two non-Cities
Enrica Salvatori (11-ottobre 2016)

I recenti festeggiamenti (26-30 novembre 2016 – Spezia in Festa) per i 609 anni degli statuti della Communitas Spediae hanno fatto riemergere nelle piazze, nei crocicchi e sulle pagine dei quotidiani alcune polemiche sulla primogenitura di Sarzana come città, sull’antichità della Spezia come realtà urbana e, in genere, sulla storia di questi due insediamenti, le cui radici affondano nel medioevo.

La Società Storica Spezzina, interessata alla storia della Spezia come a quella del territorio (quindi anche di Sarzana), prova con questo contributo a fare un po’ di chiarezza sull’argomento, sia per ricondurre ogni discussione all’interno del rigore motodologico della ricerca storica, sia per valorizzare quel che crediamo ci possa essere di utile nelle manifestazioni pubbliche ispirate alla storia come quella appena celebrata.

Partiamo da un dato di fondo, l’intera Lunigiana storica per tutto il medioevo e nella prima età moderna è, di fatto, una terra senza città, a prescindere dal “titolo” o dal grado di autonomia che in tempi e modi diversi hanno ottenuto comunità come quelle di Pontremoli, Sarzana o La Spezia.

La Lunigiana per tutto il medioevo e la prima età moderna ha visto infatti il prosperare di una miriade di piccoli borghi e soltanto due “quasi-città”, nella fattispecie Sarzana e Pontremoli. Il termine “quasi-città” è stato coniato nel 1990 da uno storico medievista, Giorgio Chittolini, per indicare gli insediamenti che in quell’epoca si caratterizzavano per una buona consistenza demografica, sociale, economica, oltre che per una certa rilevanza architettonico-monumentale – quindi avevano una spiccata identità urbana –, ma che ciò nonostante non avevano diritto al “nome di città” in quanto sprovvisti della sede episcopale e di una solida tradizione di preminenza politica nel territorio.

Dal XIII al XV secolo sia Sarzana che Pontremoli rispondono a queste caratteristiche: sono insediamenti popolosi e economicamente floridi, tanto da vantare chiese e palazzi di rilievo. Ma non hanno una rilevanza tale da diventare centri dominanti del territorio che li circonda e non possiedono formalmente una delle caratteristiche che all’epoca viene considerata tipica dell’essere città, ossia la sede vescovile. Per Sarzana – com’è noto – nonostante il trasferimento della sede vescovile sia stato deciso all’inizio del Duecento, la formalizzazione definitiva non si ha che nel 1465 e con essa anche la nomina a “città”. Ma il dato formale – avere o no un vescovo e quindi potersi dire città – è di scarsa rilevanza rispetto al fatto che come insediamento Sarzana non riesce tra Due e Quattrocento a creare un “dominio” pari o superiore a quello delle vicine Lucca, Pisa e Genova e quindi a diventare autonoma dai poteri che si combattono attorno ad essa. Medesimo discorso, mutatis mutandis, vale ovviamnete anche per Pontremoli. Quando, nella seconda metà del Quattrocento, Sarzana ottiene ufficialmente il titolo di città, il panorama circostante è caratterizzato da grandi domini di caratura regionale quali le Repubbliche di Genova e di Firenze, i Ducati di Milano o di Modena, lo Stato Pontificio. Di fronte a questi colossi l’essere città non salva Sarzana dal diventare un oggetto di scambio, una preda di guerra, una pedina in uno scacchiere molto più ampio della Lunigiana.

Su questo mancato sviluppo in città di almeno uno dei due centri maggiori della Lunigiana si è molto scritto e la comunità degli studiosi è abbastanza concorde nell’imputare proprio a questo fenomeno il fatto che tale regione non si sia mai costituita come entità geopolitica definita.

Tra Ducento e Quattrocento, mentre Sarzana e Pontremoli crescono come borghi e si arricchiscono di chiese e palazzi, l’area dell’attuale Golfo dei Poeti sembra caratterizzata da un’insediamento frammentato, formato da borghi più o meno importanti, alcuni fortificati e in posizione strategica – come Portovenere e Lerici – altri invece costiuiti da centri rurali (un gruppo più o meno corposo di case e una cappella).

Normalmente coesi intorno alla cappella, che solo col tempo assurge a parrocchia, questi abitati sono attestati nei pochi documenti che abbiamo a disposizione come universitas e/o communitas. Quando incontriamo nelle fonti questi termini significa che nel luogo esiste un insieme di persone che si riconosce in una ben definita comunità che segue determinate consuetudini. Col crescere della popolazione queste regole diventano ovviamente più complesse e difficili da ricordare e gestire: quindi si redigono degli statuti. Va da sé che la presenza di statuti non è un segno che la comunità che li possiede sia una città. La presenza di un testo statutario ci dice semplicemente che una comunità di persone si è data, oppure ha ottenuto da un signore o da altra comunità dominante, una determinata autonomia regolata da norme relative alle questioni amministrative, civili e criminali.

Appartiene esattamente a questa categoria di communitas della Spezia, le cui origini, data la scarsità di fonti, sono difficili da mettere in luce, ma il cui medioevo pare scandito da alcune tappe significative. Alla metà del XIII secolo i Fieschi, riprendendo una pratica già dei Malaspina, si attestano su alcune fortezze della Liguria di Levante per creare una signoria svincolata da Genova. In questo periodo il borgo della Spezia – pare – comincia a ricevere attenzione politico-militare in un contesto, tuttavia, dove è la communitas di Carpena a rivestire il ruolo di maggior rilievo. Fattori economici, demografici e logistici, che sono ancora tutti da definire, portano nel 1343 alla nomina della Spezia come Podesteria e poco dopo all’attestarsi del borgo come centro dominante del Golfo, pur sempre all’interno dell’orbita genovese.

Si arriva quindi agli statuti del 1407 che regolano la vita non di una città, ma ancora di una communitas, quindi di un insieme organizzato di persone di dimensioni che attualmente non è possibile quantificare, ma che erano certamente minori a quelle di Sarzana nel medesimo periodo. Gli statuti del 1407 ribadiscono comunque la dipendenza della Spezia da Genova, dipendenza che contemporaneamente riguardava anche Sarzana oltre che altre comunità del territorio.

Quello che infatti spesso si dimentica di dire quando si ricordano gli statuti della Spezia del 1407 è che non sono un esemplare unico, ma fanno parte di un piccolo corpus di sei statuti, tutti confezionati dal 1406 al 1408. Si tratta di una manciata di anni particolarmente importanti per la nostra zona in quanto segnano l’inizio del lungo e travagliato periodo che vede l’antico comitato di Luni oggetto di aspra contesa tra il Ducato di Milano e le Repubbliche di Genova e di Firenze. Sono gli statuti di Bolano, Castelnuovo Magra, Corvara, La Spezia, Monterosso e Sarzanello.

Dal solo elenco comprendiamo come La Spezia, all’epoca, sia del tutto paragonabile ad altre comunità del terrirorio che, per posizione e fortificazioni, potevano costituire per Genova una fonte di disturbo, da qui l’esigenza di regolamentarne le attività entro un quadro giuridico di sottomissione.

Gli anni finali del Trecento sono segnati, a Genova, da convulse lotte civili che portano nel 1396 alla dedizione volontaria della città al re di Francia. L’instabilità interna si placa solo dopo il 31 ottobre 1401, quando arriva il governatore Jean Le Maingre detto Boucicaut, condottiero, crociato, luogotenente di Carlo VI. La sua politica è immediatamente tesa a ricondurre la città e il suo dominio all’ordine e all’obbedienza con la forza della violenza e della legge. Infatti, tra le altre cose, insedia una commissione per il riordino complessivo della normativa statale che produce nel 1404 la prima raccolta organica delle leggi genovesi e opera affinché molte comunità del dominio producano statuti o facciano ratificare da Genova statuti più antichi.

Nel 1407 Sarzana è sotto la signoria formale di Gabriele Maria Visconti, ma il 2 agosto entra spontaneamente nel dominio genovese. In quell’occasione il comune di Sarzana ottiene dalla Genova ampi riconoscimenti, trascritti in appositi patti: esenzione da ogni tributo straordinario, chiamata alle armi di soli 25 uomini due volte l’anno, diritto esclusivo dei giuristi locali di dirimere le cause civili, facoltà dei Sarzanesi di ricoprire tali incarichi in tutto il territorio genovese. L’unico ufficiale pubblico non sarzanese è il podestà, inviato da Genova ad amministrare la giustizia. Insieme a Sarzana passano a Genova anche le terre del suo distretto, tra cui Castelnuovo e Sarzanello, che, in quell’occasione, vedono approvati i loro statuti. Contemporaneamente – si può dire quasi negli stessi giorni – si ha la promulgazione anche degli statuti di Corvara, Bolano, La Spezia e Monterosso.

Cosa ci dicono queste fonti? In primo luogo che nel 1407 il divario in termini di importanza strategica e quasi certamente anche economica e demografica tra Sarzana e le altre cominità era ampio. In secondo luogo che gli statuti sono, in mano a Genova, uno strumento potente di controllo, di espansione e di consolidamento territoriale.

Ogni singolo statuto poi ci racconta altre cose, perché tutti questi testi non sono uguali tra loro: l’unico vero elemento che hanno in comune risiede nell’obbligo per ciascuna comunità di avere un podestà nominato da Genova. Per il resto essi differiscono in tutto e questo può significare solo una cosa: che sono la rielaborazione di statuti locali anteriori. Sotto la sollecitazione del governo centrale le comunità e i giurisperiti locali hanno probabilmente ripreso vecchi testi normativi, li hanno aggiornati e rielaborati in modo da rispondere alle rinnovate esigenze, li hanno poi inviati a Genova, perché fossero corretti e infine approvati in via definitiva.

La Spezia quindi ha suoi statuti prima del 1407, ma non sappiamo quanto prima; è agli inizi del Quattrocento una comunità importante per Genova, ma non tanto quanto Sarzana; non è città (come non lo è Sarzana) ed è quasi certamente in fase espansiva.

Tirando le fila, il 1407 non rappresenta per la attuale città della Spezia un data di nascita, né un anno particolarmente importante per la sua storia. Tuttavia quel frangente storico ci ha lasciato in eredità un documento unico e prezioso, gli statuti appunto, il cui studio molto ci dice e ci può ancora dire su come fosse regolata la vita della sua communitas nel Quattrocento. Festeggiare questa eredità è quindi importante, perché avvicina la comunità di oggi a quella di ieri, l’aiuta a comprendere la sua storia e i percorsi che l’hanno portata a trasformarsi da piccolo borgo marinaro a podesteria e poi in città capoluogo, a patto di lasciare da parte inutili gare campanilistiche e di trattare le fonti con rigore e metodo.

 

Bibliografia minima (ordine cronologico)

C. MAGNI, Gli statuti della Spezia, in «Il Comune della Spezia. Atti e statistiche», II (1924), nn. 7-9, pp. 172-184

C. MAGNI, Gli statuti di La Spezia, La Spezia 1925

F. BONATTI e M. RATTI, Sarzana, Genova 1991

G. CHITTOLINI, ‘«Quasi-città». Borghi e terre in area lombarda nel tardo medioevo’, in Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-settentrionale (secoli XIV-XVI), a cura di G. Chittolini,  Milano 1996, pp. 85–104.

E. SALVATORI, ‘Tra dominante, signori e comunità. Gli statuti lunigianesi del Boucicaut’, in R. Dondarini, G. M. Varanini e M. Venticelli eds., Signori, regimi signorili e statuti nel tardo Medioevo. VII Convegno del Comitato nazionale per gli studi e le edizioni delle fonti normative (Ferrara 5-7 ottobre 2000), Bologna 2003, pp. 205–215

M. FINELLI, Breve storia di Sarzana,  Pisa 2015